Nel 350° anniversario della morte del grande architetto, l’Associazione Amici dei Musei di Vercelli ricorda Francesco Borromini dedicandogli venerdì 7 aprila 2017 – alle ore 21 presso il Piccolo Studio, Chiostro Sant’Andrea – una conferenza a cura del dott. Flavio Quaranta dal titolo “FRANCESCO BORROMINI: Genio inquieto del barocco“.
Francesco Borromini (Bissone, Canton Ticino 1599 – Roma 1667) è stato uno dei più originali interpreti dell’architettura barocca. Dopo un iniziale soggiorno a Milano, dove fu influenzato da Francesco Maria Richini, venne a Roma intorno al 1620 sull’esempio di tanti altri ticinesi che avevano contribuito ad abbellire la Città Eterna, lavorando come scalpellino nella fabbrica di San Pietro. Fu protetto e avviato alla professione di architetto da Carlo Maderno, suo conterraneo e parente, alla morte del quale, nel 1629, seguitò a lavorare nella Basilica Vaticana (in particolare nella realizzazione del baldacchino) e a Palazzo Barberini (suo fu il disegno della scala ellittica e delle grandi finestre) collaborando con il Bernini, col quale si pose ben presto in aperto contrasto.
L’attività autonoma del Borromini cominciò nel 1634 con la costruzione del convento e della chiesa di S. Carlino alle Quattro Fontane (la facciata della chiesa, del 1667, fu anche il suo ultimo lavoro). Assolutamente inedito e ricco di riferimenti simbolici, in relazione al mistero trinitario, questo edificio religioso destò l’ammirazione generale.
Seguiranno il convento e l’Oratorio dei Filippini, il restauro della basilica di S. Giovanni in Laterano (per il Giubileo del 1650), i lavori per la chiesa di Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona, la chiesa di S. Ivo alla Sapienza (della quale, fin dal 1632, era stato nominato architetto), la chiesa e il Collegio di Propaganda Fide, il tiburio e il campanile di S. Andrea della Fratte, e fuori Roma costruì l’altare Filomarino per la chiesa dei Santi Apostoli a Napoli.
Nella sua carriera Borromini lavorò anche per una committenza non religiosa, basti pensare alla galleria prospettica di Palazzo Spada. Condusse vita solitaria e inquieta – conclusasi con il suicidio – soprattutto per l’ombra del rivale Bernini che gli si proiettò contro lungo il suo cammino.
La sua architettura, aspramente criticata in età neoclassica, cercò sempre una contrazione dello spazio costruttivo, riducendo al minimo il valore delle masse ed esasperando quello delle linee. Borromini sperimentò forme assolutamente nuove, complicando il tracciato delle piante con l’adozione di geniali e audaci espedienti costruttivi, con lo scopo di ottenere per ogni edificio, una serrata continuità di ritmo fino ai particolari più minuti. Curava personalmente tutti i dettagli dell’ornamento facendo così, della sua architettura, una specie di miracolo di tecnica e di stile, dove tuttavia la ricerca del nuovo non implicò mai la negazione del passato. Grande fu il fascino del Borromini sull’architettura barocca europea, la sua nuova tematica spaziale esercitò un profondo influsso sul Guarini e sugli architetti dei paesi tedeschi e boemi, mentre il suo felice innesto di forme organiche sulle strutture architettoniche fu da esempio per le generazioni successive.